Quanta determinazione ci vuole per intraprendere la propria strada se si ha un fratello che si chiama Masaccio. Ebbene sì, Giovanni di Ser Giovanni detto “Lo Scheggia” ci è riuscito, grazie all’intuizione di non seguire le orme del fratello, ma di giocare delle carte nuove, tutte sue, che lo hanno reso originale e innovativo. Ci vuole coraggio e una bella dose d’intelligenza: esprimere noi stessi senza cadere nell’omologazione, nella tentazione della strada facile, ma dare libero sfogo al proprio talento e alla propria creatività.

Giovanni nacque a San Giovanni Valdarno, in provincia di Arezzo, nell’anno 1406 ed ebbe una vita lunghissima arrivando fino a 80 anni, a differenza del fratello morto purtroppo in giovane età. Certo avere in famiglia un genio come Masaccio, da sempre annoverato tra gli iniziatori del Rinascimento, colui che applicò in pittura le ricerche prospettiche di Filippo Brunelleschi, non doveva essere una cosa da niente.

Tuttavia lo Scheggia si dedicò a una specifica attività, già praticata anche da altri artisti del ‘400: la decorazione della fronte dei cassoni nuziali (detti anche “cofani” o “forzieri”) che, soprattutto a Firenze, facevano parte dell’arredo delle camere degli sposi, nelle case signorili. In quest’arte, ma anche nella decorazione di altri oggetti lignei, ebbe modo di affermare le sue capacità creative e pittoriche. Ed è proprio nel “Maestro del cassone Adimari”, opera conservata al Museo dell’Accademia di Firenze, che è stata riconosciuta l’identità dello Scheggia.

Certamente Giovanni non poteva neppure immaginare di raggiungere la fama del fratello e, a dire il vero, non ebbe nemmeno una grande considerazione nel secolo successivo, se neanche il Vasari gli dedicò una pagina nelle sue Vite. E questo, giustamente, come scrisse Laura Cavazzini, rappresentava “un marchio sicuro di infamia critica” (Cavazzini, L., 1999, p.9).

Ma non fermiamoci qui. Non limitiamoci al confronto col fratello, nel cercare anche nello Scheggia la perfetta resa prospettica, il volume, le figure solide e perfettamente costruite. Non evidenziamo l’errore, le lacune o l’incapacità di raggiungere la maestria di Masaccio. Guardiamo invece le sue peculiarità, l’abilità narrativa, l’attenzione ai dettagli, sia dell’abbigliamento che dell’ambiente urbano, la spontaneità delle pose dei personaggi, spesso ritratti con vivacità e un pizzico di ironia. A dimostrazione di quanto detto basta osservare un dettaglio tratto da uno degli affreschi dipinti all’interno della chiesa cittadina di San Lorenzo (ved. Foto 1), oppure un particolare della fronte di cassone, situata nel Museo della Basilica (ved. Foto 2), dove è raffigurato l’episodio di Traiano e la vedova, racconto citato anche nel X canto del Purgatorio di Dante.

I suoi lavori sono presenti a San Giovanni Valdarno, ma anche in altri luoghi vicini, a farsi da Castelfranco di Sopra, Firenze, fino ad Arezzo. Ricordo, tra l’altro, la bellissima mostra allestita nella città natale nel 1999, in Casa Masaccio, a cura di Laura Cavazzini e Laura Speranza.

E un itinerario alla scoperta dello Scheggia potrebbe rivelarsi un percorso alternativo e di approfondimento storico e artistico di grande interesse.

Il mio suggerimento? Non scoraggiamoci mai di fronte a un percorso ormai segnato e non inseguiamo la competizione con i talenti degli altri. Cerchiamo invece la nostra via, anche se meno apprezzata e all’ombra dei riflettori.

Al prossimo appuntamento…

 

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:

CAVAZZINI L. (a cura di), Il fratello di Masaccio. Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia, 1999.

TENUCCI G., San Giovanni Valdarno, città d’autore, 2008.

MARTINI M., in Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Valdarno, 2019.

PESCI L., in Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Valdarno, 2019.