Non so perché ma il rumore del vento in mezzo ai rami e alle foglie mi attrae incredibilmente. Sarei capace di rimanere ore e ore ad ascoltare i suoni provocati dal vento. Così come lo stare sul letto, sotto una coperta, e sentire il suo soffio che imperversa e che fa sbattere le persiane facendo muovere tutto all’esterno delle forti, robuste, sicure pareti della mia stanza. Persino gli oggetti della terrazza saltellano sul pavimento. Un piccolo barattolo rotola, lo stendino dei panni cigola e un persistente sibilo attraversa i vecchi infissi della finestra.

Tutto sembra seguire il vento. Regna incontrastato sulla vetta di una collina, di fronte al quale i nostri corpi sono incapaci di opporsi al suo volere, cercando inutilmente di trattenere i vestiti ed i capelli. Perché è una forza impetuosa. Trascina i nostri animi scuotendoli ed esortandoli al risveglio.

Ma c’è anche un dolce e debole vento, che muovendo appena l’erba sembra accarezzare dolcemente il nostro cuore, come se ogni cosa che ci affligge e ogni doloroso turbamento se ne andassero via al suo soffio.

Il vento ci parla. Ci sussurra voci lontane, conosciute tanto tempo fa e che parevano dimenticate. Ci porta le parole amiche e confortevoli di qualcuno.

Ci ricorda che “ogni foglia non vola libera nel vento, ma che è il vento che la trascina”.

(nella foto: Jean-Baptiste Camille Corot, Il colpo di vento, 1865 – 1870 circa, olio su tela. Conservato al Musée des Beaux-Arts, di Reims).